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Buccia di Banana - credits illustrazione Babich

Buccia di banana

Illustrazione: Fabio Babich

Supereroe!

Lo decise alle sette e trentadue del diciotto febbraio mentre si lavava i denti con una nuova pasta al sapore di menta e marshmallow.

 

Diventare un supereroe a tempo pieno!

Una qualche dote naturale non avrebbe guastato: raggi luminosi che escono dagli occhi, mani a ventosa, teletrasporto, ali, pinne, pungiglioni, corpo immortale – cose così.

Le doti naturali non avevano mai convinto Frenky fino in fondo. L’apprendimento gli sembrava ancora la strada più rivoluzionaria che si potesse percorrere. Più o meno.

 

Imparare a diventare un supereroe a tempo pieno senza superpoteri!

Anche una città con il suo nemico pubblico non avrebbe guastato: un cyborg fuori controllo, una cricca di spazzacamini malavitosi, un musicista ferito che avvelena le onde sonore – roba del genere insomma.

Non aveva mai amato i combattimenti, quasi sempre ci perdeva qualcosa. Una volta anche due denti. La sua era una irriducibile voglia di combattere per qualcosa  senza bisogno di un “contro qualcuno”.

 

Imparare a diventare un supereroe a tempo pieno senza superpoteri e senza un nemico!

Nonostante la durezza del compito non aveva una strategia precisa.

Sapeva di dover camminare per molto tempo in mezzo alle persone affinché qualcosa potesse iniziare a succedere.

 

Il suo proposito aveva un problema: quando camminava sapeva pensare solo al suo amore. Non pensarlo e basta, ma immaginarci pantagrueliche romantiche avventure.

Il venti febbraio i due si facevano spazio tra le piante di una foresta tropicale fino a raggiungere una piramide a gradoni con una porta di pietre preziose.

Fu così che le sue fantasie non gli permisero di vedere la buccia di banana lasciata sul marciapiede della sua via e scivolò all’indietro.

 

In quella posizione da cimice rovesciata – e lui sapeva come aiutarle a raddrizzarsi senza farle puzzare – vedeva nuvole fatte a popcorn che gli mettevano fame; alla sua sinistra stavano i pori dell’asfalto nuovo, a destra i mozziconi di due sigarette, una chewingum azzurra con appiccicato un biglietto dell’autobus e un chiodo arrugginito poco distante dalle ruote di un’auto.

Chiodo. Auto.

Sì, il suo momento era arrivato!

Fu rapido e determinato nel toglierlo da lì; un Frenky glorioso.

 

Qualcosa aveva iniziato a succedere. Ma lui cos’era di preciso?

 

Nella confusione serviva l’abbigliamento giusto.

Il centro commerciale di sabato pomeriggio è un flipper riempito di palline colorate che si lanciano da un negozio all’altro.

Sarebbe stato capace di imparare a fare il supereroe, ora che lo era diventato?

Della maglietta con una buccia di banana disegnata a carboncino non ebbe nessun dubbio.

Comprò gli stock di tutte le taglie.

 

Durante la camminata che aveva fatto dal chiodo al negozio di Harry Leppon i due giovani esploratori superarono la porta di pietre preziose, sfidarono gli enigmi nella stanza dei contrari, giocarono a ping pong su un tavolo inclinato e salirono sulla zattera che doveva portarli al tesoro. E’ qui che decisero di iniziare il loro lungo, atteso, raffazzonato, un po’ imperfetto ma bellissimo bacio.

 

Nei Grandi Magazzini la sua attenzione si spostava dalla fantasia alle parole delle persone, come stare dentro un film.

Due ragazze scendevano con la scala mobile mentre lui ci saliva bevendo uno smoothie al melograno e noci.

“Volevo la borsa di Mr Boonc, ma non c’è”. Lo sentì dire ad una delle due, quando le loro direzioni si incrociarono a tre quarti della scala.

Bastò quella frase per togliere di mezzo ogni confusione.

Si girò di scatto, sentendosi un po’ Batman e un po’ il suo figo amico Michael che piace quasi a tutti. Alcune gocce di smoothie schizzarono fuori dal bicchiere bagnando le magliette nuove, ma poco male.

Il suo secondo momento era arrivato: “Ehi ragazze, la borsa di Mr Boonc è da Jappon Fix, a Sytro”.

 

A Sytro di sabato pomeriggio non arriva quasi nessuno. Frenky ci va per diversi motivi: le ciambelle allo zenzero che il signor Marchelle gli regala in cambio di una mano con le casse di latte, il cane della sua amica Hila che riempie di baci solo lui, il campo da basket nuovo di zecca e le scarpe di Jappon Fix.

 

Sua sorella Andrea prese tutto molto sul serio. Lo chiamarono il progetto “buccia di banana”. Fu sua l’idea di iniziare con la schiena. Era la prima cosa a cui aveva pensato quando Frenky le spiegò che si trattava di aiutare le persone a vedere quello che non vedono.

I primi mesi furono foto, ritratti, specchi, video, per tutti.

Schiene, schiene, schiene e ancora schiene.

Le loro finirono per conoscerle a memoria. Avevano persino un nome.

 

Poi serviva che alcuni piccoli vedessero i loro genitori al lavoro e che alcuni grandi vedessero i piccoli a scuola, quando spaccano il mondo e quando è lui che li spacca.

Serviva far entrare gli amici in “buccia di banana” per andare a vedere come si costruivano le cose che piacciono, sbirciare i propri animali quando erano da soli, scoprire il punto debole dei bulli e farsene qualcosa.

 

Servivano supereroi.

Tanti supereroi!

Del 1980. Sono una cooperatrice sociale e una psicoterapeuta costruttivista. Appena posso scappo lontano dai guru e me ne sto da qualche parte, più o meno in pace, dove l'aria sa di persone diverse tra loro che “fanno insieme”. Non sono un granché ma mi piace scrivere e fare teatro; vorrei lavorare per tutto ciò che genera storie a cui non avevamo ancora pensato, ma che ci servivano. I miei compagni di scuola elementare dicevano di me che ero una di compagnia, i miei compagni delle medie che ero una sfigata. Mi è rimasto il dubbio. Sul comodino ho “Schadenfreude, la gioia per le disgrazie altrui” di Tiffany Watt Smith e “Gorizia on/off” di Giovanni Fierro. Domani vorrei trovare la cena pronta e un viaggio che “questa volta proprio non me l’aspettavo”.