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Senza senso

Il vuoto in “Melancholia”

Una ragazza vestita sontuosamente, con lo sguardo vacuo, che galleggia lungo il corso di un fiume, circondata da piante e fiori bellissimi: è riprendendo il famosissimo quadro “Ophelia” di John Everett Millais che il regista Lars von Trier sceglie di rappresentare Justine nel prologo del film “Melancholia”, istituendo così un paragone tra la protagonista e uno dei più celebri casi di depressione nella storia della letteratura. 

Il film è in effetti unico nella sua efficacia nel rappresentare l’esperienza della depressione, dell’assenza di senso, della sfiducia in tutti i significati a cui facciamo solitamente affidamento, esperienza che il regista stava vivendo nel momento in cui ha iniziato a lavorare sulla sceneggiatura. 

Nel prologo del film vediamo una serie di scene scollegate che si susseguono senza alcuna apparente relazione. Siamo abituati a considerare i film in maniera dialettica: a una scena si collega un’altra che è in relazione con la prima e in questo dialogo tra scene riusciamo a cogliere un senso. Le scene del prologo invece ci mettono in difficoltà perché non mostrano correlazione tra loro. Tra queste scene, tutte a rallentatore, vediamo la protagonista Justine che apre gli occhi mentre nello sfondo cadono uccelli, la sorella di Justine, Claire, che scappa con in braccio il figlio, la Terra che viene colpita e distrutta da un altro pianeta, Justine rappresentata come Ofelia, il quadro “Cacciatori nella neve” di Pieter Bruegel, il Vecchio andare in fiamme, un cavallo che muore. Quello che tiene insieme le scene è la musica: il preludio al “Tristano e Isotta” di Wagner, l’unica musica che sentiamo lungo tutto il film, una composizione cupa e misteriosa, che richiama una storia che termina con la morte di entrambi i protagonisti, fungendo così da presagio.

Dopo questa ouverture entriamo nella prima parte del film, in cui seguiamo Justine – la controparte cinematografica del regista – nel giorno del suo matrimonio. 

La prima cosa che colpisce lo spettatore è il cambiamento nello stile cinematografico: se le immagini apocalittiche dell’introduzione erano caratterizzate da una raffinatezza compositiva e da una bellezza quasi volgare nella sua eccessiva ricercatezza, nella scena della cerimonia la telecamera è traballante, incerta e la musica è assente, producendo un disorientamento dello spettatore nella contraddizione tra stile e contenuto. Il senso di sfasamento che si produce serve a comunicare la contraddizione interiore di Justine: dovrebbe essere il giorno più felice della sua vita, festeggiato con una ricca cerimonia organizzata alla perfezione da sua sorella Claire, eppure sente che c’è qualcosa che le manca. 

Durante tutta la prima parte del film la vediamo fare i conti con il fatto che non sente la felicità che si attendeva nel giorno del suo matrimonio, prendendo ogni occasione possibile per allontanarsi, andando a fare un bagno oppure isolandosi nel campo da golf. Quando la sorella Claire le chiede come mai si senta così, Justine risponde che non lo sa: è cosciente del fatto che dovrebbe essere felice e che sta rovinando la cerimonia a tutti gli altri, eppure in quella situazione apparentemente normale non sa come comportarsi e appare costantemente malinconica, assente e inadeguata. 

Justine cerca di aggrapparsi ai significati che dovrebbero darle conforto, come la famiglia e il matrimonio, che però vengono completamente ribaltati in una cerimonia dai toni farseschi: suo padre si presenta al matrimonio in compagnia di due ragazze con cui passa il tempo a fare il seduttore, la madre è fredda e distante e non ha paura di far sapere a tutti gli invitati che non crede nel matrimonio, lo sposo non è in grado di capire sua moglie ed è costantemente in imbarazzo, la sorella sembra più interessata alla cerimonia di quanto lo sia Justine. Il tutto culmina col ribaltamento della pratica stessa della cerimonia quando Claire lancia il bouquet al posto di Justine e la sposa finisce a fare sesso con un invitato che aveva conosciuto qualche ora prima. 

In questa prima parte del film troviamo rappresentati gli effetti sociali della depressione: Justine non riesce a capire che cosa le manca, non riesce a capire il motivo del suo malessere e non è in grado di trovare un significato alle proprie azioni o a quelle degli altri, apparendo indifferente a tutto. In uno dei momenti in cui si apparta, Justine sostituisce le immagini dei quadri astratti che si trovavano nel salotto della casa con immagini di quadri di Caravaggio, Bruegel e Millais, reagendo contro la fluidità dei rapporti moderni, rappresentati dalle forme astratte di Malevic, e sostituendoli con immagini di sofferenza e di disagio, che ritrova nei quadri figurativi degli altri autori. La protagonista si sforza durante tutta la cerimonia, di trovare un significato aggrappandosi a quello che dovrebbe fornirle sicurezza, tenendo durante tutta la cerimonia un sorriso forzato che appare come un grido d’aiuto, ma non ce la fa e questo determina una completa inabilità a comportarsi in maniera socialmente accettabile.

La seconda parte del film ha luogo in un tempo imprecisato successivo al matrimonio. 

Justine, durante un periodo di grave depressione, va a vivere a casa di sua sorella Claire, essendo ormai incapace di svolgere qualsiasi azione: non è in grado di sollevare le gambe per farsi un bagno e dice che il suo piatto preferito “Sa di cenere“. Questa inerzia la rende scomoda, ingombrante e fuori luogo nel mondo apparentemente perfetto di Claire, fatto di un marito ricco e di una casa stupenda. 

In questo contesto si aggiunge la scoperta da parte della comunità scientifica che il pianeta Melancholia, precedentemente nascosto dietro al Sole, si sta avvicinando alla Terra. Con il manifestarsi di questa minaccia che incombe sulla Terra, gradualmente i ruoli delle due sorelle si invertono: Claire, che fino a questo momento avevamo visto calma e pragmatica, inizia a diventare sempre più ansiosa e ad agire di impulso nonostante le rassicurazioni di suo marito che le dice che gli scienziati sono sicuri che Melancholia non colpirà la Terra ma le passerà semplicemente vicino, mentre Justine, inspiegabilmente, ritrova la serenità e recupera le forze. 

Arriva la sera fatidica e il pianeta passa vicino alla Terra per poi allontanarsi: Claire ritrova la calma e abbraccia suo marito, sollevata del fatto che la sua vita possa continuare così come se l’era costruita. Il giorno dopo Claire, guardando attraverso il binocolo, vede che il pianeta si sta riavvicinando e corre a cercare il marito scoprendo che si è suicidato per non dover assistere alla fine del mondo. 

Le previsioni degli scienziati si rivelano sbagliate e in un secondo tutto quello che Claire si era costruita le cade addosso. In un ultimo gesto disperato, propone a Justine di passare gli ultimi momenti con lei sul balcone, bevendo vino e ascoltando musica: anche davanti alla fine del mondo, per cercare una connessione con le persone Claire si aggrappa agli oggetti, non riuscendo ad accettare l’inconsistenza. Justine rifiuta e in giardino incontra il figlio di Claire che le dice di essere spaventato perché suo padre gli aveva detto che nel caso di collisione non ci sarebbe stato nessun posto dove nascondersi. Justine rassicura il nipote dicendo che il padre si era scordato della “grotta magica”, che costruiscono con rami intagliati e sotto cui si siedono ad aspettare la fine insieme a Claire. 

È in questo momento che l’apparente pessimismo del film svanisce: Justine ritrova una verità nei gesti e si comprende che l‘assenza che ha cercato di colmare nella prima parte del film provando a comportarsi come gli altri, una volta accettata, non porta come si potrebbe pensare a un atteggiamento cinico e nichilista, ma a un ritrovato amore. Così mentre Claire appare deformata dal dolore e incapace di accettare la fine, Justine chiude gli occhi insieme al nipote, trovando così una connessione col mondo e con gli altri sincera e incontaminata.

Può sembrare che l’assenza sia una dimensione negativa, una dimensione che ci toglie qualcosa, che ci svuota, ma è nella presenza di un altro formalizzato e privo di sincerità, che cerca di deformare, che vediamo Justine svuotata e sofferente. L’abbandono della ricerca di senso, invece, apre un vuoto che poi si può riempire e svuotare di nuovo, in continuazione. Accettando la fine, comprendiamo che la vita è questo movimento continuo di riempimento-svuotamento, che permette la crescita, e che cercare significati stabili è uno sforzo destinato al fallimento, che ci porta ad approcciarci alla vita in maniera artificiale e a fossilizzarci su modalità di vita arbitrarie, che finiscono per perdere presto il loro senso. Nel momento in cui accettiamo sia la nostra necessità di cercare significati, sia la nostra inabilità nel giungere a un senso completo, possiamo giungere a un’assenza positiva, che ci permette di esistere in maniera dinamica e con una rinnovata eticità.

Sono vivo dal 2001, mi piacciono il cinema, la musica, la filosofia e le cose a cui non si riesce a dare un nome. I miei compagni dicevano (e dicono) di me che devo sempre mettere in discussione tutto. Credo che sia un'affermazione discutibile. Sul comodino ho i racconti di Kafka, le poesie di Shelley e un sacco di polvere. Domani vorrei sapere più di oggi