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DI PAGURI E MICROSCOPI

IL RACCONTO DI UNA MAMMA BIOLOGA

“Quello che non vediamo”? Fino all’incontro con quel piccoletto non avrei esitato a rispondere che ciò che non vediamo sono le cose troppo minute per essere viste ad occhio nudoUna risposta suggerita dalla mia passione per il microscopio. Avevo dieci anni quando mio padre me ne regalò uno, con il quale iniziai ad osservare tutto ciò che mi circondava. L’incontro con quei micromondi inaspettati mi affascinò a tal punto che anni dopo decisi di diventare biologa.

Lo studio della biologia obbliga ricercatori e studiosi ad un confronto continuo con la dimensione invisibile delle cose. Se da un lato l’invisibilità ha sempre costituito per loro un limite da superare, dall’altro le necessità sperimentali hanno fornito la spinta allo sviluppo costante di nuove metodologie e strumenti di indagine sempre più sofisticati, capaci di rendere visibili particolari sempre più piccoli. 

In biologia, l’invisibilità è legata principalmente alle dimensioni di ciò che si osserva. La nostra capacità visiva è limitata dalla cosiddetta soglia di risoluzione, che consente di vedere separati due punti solo se distano tra loro almeno 100 micrometri, cioè 100 millesimi di millimetro. Considerando che le dimensioni delle cellule variano da pochi micrometri a qualche decina, e che la comprensione di moltissimi fenomeni macroscopici avviene attraverso l’approfondimento delle loro strutture microscopiche, gran parte degli argomenti relativi alla biologia sarebbero tuttora sconosciuti se per la necessità di soddisfare la curiosità e il desiderio di conoscenza l’uomo non avesse inventato il microscopio.

Inizialmente fu sperimentato quello ottico che, utilizzando la luce visibile, ha consentito di aumentare di 500 volte il potere risolutivo dell’occhio umano, portandolo al limite di 0,2 micrometri, utile per indagare ad esempio il mondo dei batteri e delle cellule del nostro corpo. Successivamente, la necessità di studiare dimensioni ancora più piccole, dell’ordine dei nanometri, tipiche ad esempio dei virus, o delle strutture subcellulari e molecolari, ha spinto i ricercatori a sviluppare nuove tecniche di microscopia che, utilizzando sorgenti di “luce“ diverse, quali ad esempio fasci di elettroni nella microscopia elettronica, o i raggi x della luce di sincrotrone, hanno consentito di superare il limite di risoluzione del microscopio ottico, acquisendo poteri di risoluzione su scala nanometrica. 

Ritornando alla domanda iniziale, avrei potuto aggiungere, attingendo dalla pratica di laboratorio, che non vediamo le cose che non hanno un colore proprio e che, per poter essere osservate, devono essere in qualche modo “marcate”.

Rimanendo nel campo delle indagini microscopiche è importante spiegare, a chi non avesse pratica di biologia, che la cellula in natura è trasparente e quindi sarebbe poco visibile al microscopio se non venisse colorata con coloranti specifici, talvolta fluorescenti, capaci ad esempio di evidenziarne lo stato di vita o di morte, o di identificarne strutture e organelli subcellulari quali ad esempio l’apparato di Golgi, i mitocondri oppure il nucleo.

Esiste poi una dimensione invisibile della cellula indipendente dalla sua grandezza e apparentemente più difficile da indagare perché più labile: è la “dimensione elettrica”, costituita dalle cariche elettriche dei flussi di ioni che di continuo si spostano nella cellule, responsabili ad esempio del potenziale di membrana o, nei neuroni, degli impulsi elettrici. Anche questa sfida è stata superata, e già da anni si utilizzano metodiche sofisticate che consentono in tempo reale di registrare con microelettrodi o di visualizzare con tecniche di video imaging l’attività elettrica delle cellule.

Indagare l’invisibile della meravigliosa complessità dei fenomeni naturali, pone davanti ad un altro importante aspetto che, in prima persona, ho affrontato in vent’anni di ricerca in Patologia Sperimentale: l’obiettività dell’osservazione e la rigorosità del metodo scientifico.

Ogni esperimento in biologia richiede di ideare un modello semplificato dei sistemi complessi – il più delle volte invisibili – che si studiano. L’approccio deve essere particolarmente meticoloso, così come l’individuazione delle prove di controllo, l’interpretazione critica dei risultati e la loro presentazione alla comunità scientifica.

Da questa lunga premessa si capisce bene come il mio concetto di “invisibilità”  fosse fondamentalmente legato ai limiti della capacità visiva umana. Tuttavia, come dicevo, un incontro speciale avrebbe ampliato la mia visione sull’argomento, salvandola dal terreno in cui si era  impantanata.

Era una meravigliosa serata di luglio, di quelle in cui non vorresti mai ritornartene a casa dal mare e i miei figli erano intenti ad osservare i piccoli paguri che al tramonto, con la bassa marea, popolavano il bagnasciuga.

Quanto interesse per quelle piccole creature! E quanta curiosità nei loro occhi! 

Il giorno dopo ci organizzammo e uno di quei piccoli crostacei venne a far parte della nostra famiglia. Imparammo a conoscerlo e a prendercene cura, fornendogli sabbia, acqua, cibo e nuove conchiglie da abitare. L’esperienza fu così entusiasmante che quando a settembre i miei figli raccontarono alle maestre del nuovo arrivato, lo fecero con tale trasporto che di lì a poco fui invitata a portarlo a scuola per farlo conoscere ai loro compagni. 

Non avrei mai immaginato che la creaturina destasse nei bambini e nelle loro insegnanti tanta curiosità e interesse. Fosse stato un paguro tropicale, l’avrei anche capito, sorprendente per le sue dimensioni e colori, ma era solo un minuscolo grigio paguretto di sabbia del mare gradese! Chissà quante volte l’avranno inavvertitamente calpestato – pensavo, vedendolo lì al centro dell’attenzione di decine di occhietti curiosi. Come se lo vedessero per la prima volta.

Ecco, pensai: invisibile è ciò a cui non si presta attenzione. L’invisibilità non è legata a condizioni fisiche di dimensioni, colori o distanze né ai limiti della nostra vista ma a quelli del nostro pensiero, della nostra mente, della nostra disposizione a considerare le cose. Raccontando del paguretto e delle sue curiose abitudini, lo avevo reso VISIBILE agli occhi dei tanti che non l’avevano mai visto veramente.

Quell’esperienza cambiò non solo il mio modo di interpretare il concetto di invisibilità ma diede una svolta alla mia vita e alla mia professione. Infatti decisi quello che avrei fatto da “più grande”: raccontare l’invisibile ai bambini, con laboratori esperienziali alla scoperta del mondo che li circonda, con l’ambizione di far rivivere loro l’emozione della scoperta che io vissi da bambina quando posi per la prima volta l’occhio sull’oculare del mio microscopio o di quando, ammirata, ho scoperto le curiose abitudini del nostro amico paguretto. 

Attenzione, curiosità, osservazione, pensiero, immaginazione, creatività sono le lenti attraverso cui TUTTI dovremmo osservare il mondo e l’umanità, per far diventare grandi le cose piccole, vicine le cose lontane, colorate le cose che non lo sono, visibili le cose invisibili.  

L’incontro con il paguretto ha fatto crescere in me la consapevolezza di quanto sia indispensabile riappropriarci del nostro tempo per dare attenzione alle cose e di quanto sia importante far vivere ai bambini esperienze reali per approfondire, partendo da occasioni quotidiane, la conoscenza del mondo che li circonda. Giocando ad “aguzzare la vista”, lasciamoci meravigliare, osservando insieme a loro l’erba sul ciglio della strada, le impronte sconosciute nella terra di un sentiero, il tronco degli alberi di un bosco, sospinti dalla loro entusiastica curiosità e sostenuti dal nostro bagaglio di esperienze.

Ne deriveranno soddisfazione, consapevolezza, capacità di valutazione e un’incredibile voglia di sognare.

 

Grazie a Marta, Alessandro e Davide per la foto di copertina.

Biologa. Dopo la laurea ho svolto attività didattica e di ricerca all’università. La nascita dei miei figli, con il loro bagaglio di “perché”, ha dato una svolta inaspettata alla mia vita: adesso progetto e realizzo laboratori scientifici per bambini. Sono semplice e concreta; credo tuttavia nel potere dell’immaginazione e dei sogni. Mi piacciono il mare, i gatti, le cose simmetriche. I miei compagni di scuola dicevano di me che ero una secchiona (semplicemente mi piaceva studiare). I libri che ho sul comodino: “Pecoranera” di Devis Bonanni, “Le bugie nel carrello” di Dario Bressanini. Domani vorrei avere un asino in giardino.