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Senza libertà

Architettura in carcere

Esistono luoghi che non si conoscono, che in rari casi si attraversano perché spaventano. Spazi continuamente immaginati e raccontati attraverso luoghi comuni, dove tutto sembra perduto e dimenticato; spazi di esclusione e marginalità.

Imprevedibili. Inaccessibili. 

Non ci stiamo riferendo alle periferie. Parliamo del carcere.

Il carcere rappresenta il luogo della privazione. Spazi senza. 

Senza libertà, affettività, autonomia, privacy. 

Spazi senza silenzio.

 

In questi anni ci è capitato di entrare in diverse carceri: Torino, Padova, Milano, Lecce, Alessandria, Asti, Fossano. Ci siamo andati per proporre i laboratori di rigenerazione urbana dell’associazione Artieri.

Artieri nasce nel 2014 per un esperimento: trasformare alcuni spazi comuni della Casa di Reclusione Lorusso e Cutugno di Torino attraverso un cantiere di autocostruzione. Un lungo e articolato processo partecipato che permette alle persone di riscoprire le proprie capacità, metterle a disposizione della comunità e riqualificare oltre 1700 mq di spazi: un nuovo giardino, con playground e alberi, con 11 postazioni colloqui per i detenuti con famiglia, e un’area relax per il personale, con tavoli per la pausa pranzo e un grande palco/solarium per eventi. In due anni, prendono parte ai laboratori “Spaziviolenti”: 18 uomini detenuti, 12 donne detenute, 5 agenti della polizia penitenziaria, 27 studenti di architettura e giurisprudenza delle università di Torino, diversi rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria e del personale.

Artieri scopre che l’architettura è uno strumento ri-distributivo di diritti e risorse. La qualità dello spazio influenza le nostre vite continuamente e tutti hanno diritto a vivere in un ambiente sano, bello e accogliente. Poter autodeterminare il proprio spazio di vita significa autodeterminare la persona: siamo quello che facciamo.

L’associazione si trasforma in una comunità di pratica, cresce insieme e decide di mettere a disposizione le proprie competenze per la costruzione di ambienti di vita migliori in contesti marginali, accompagnando piccole comunità in percorsi di apprendimento collettivo. Oggi è diventato fondamentale incentivare il coinvolgimento delle comunità nei processi di trasformazione territoriale, culturale e sociale, soprattutto laddove le risorse sono scarse. 

Ci piace definirci cacciatori e ri-organizzatori di risorse. Tanto i singoli cittadini quanto gli enti attivi sui diversi territori, dal Terzo Settore all’ambito profit, fino alle istituzioni pubbliche, sono infatti portatori di risorse importanti. Il nostro lavoro è quindi soprattutto quello di riconoscere risorse e capacità della comunità, per metterle in rete e farne il motore della rigenerazione urbana. 

Attraverso la prima sperimentazione a Torino, abbiamo sviluppato un format laboratoriale che permette la riqualificazione degli spazi attraverso un processo di co-progettazione e capacitazione, coinvolgendo nelle attività tutti coloro che “abitano” il luogo, dalla fase di ideazione, a quella di prototipazione e autocostruzione. Lo abbiamo sperimentato nella Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova attraverso il cantiere condiviso “Abitare Ristretti”, ampliando gli spazi di lavoro gestiti dalla Cooperativa Sociale Altra Città e la sede della redazione di Ristretti Orizzonti. Nella Casa di Reclusione “Santa Caterina” di Fossano, attraverso il progetto “Nella rete oltre il muro”, abbiamo riqualificato lo spazio gioco bimbi nella sala dei colloqui e attrezzato un’area per consultazione in biblioteca; abbiamo creato una nuova sala del silenzio, spazio dove potersi concentrare per scrivere lettere ai propri cari o leggere, e abbiamo insonorizzato le postazioni telefono nei corridoi delle diverse sezioni del carcere. Ora ci stiamo provando nell’Istituto Penale per Minorenni “Ferrante Aporti” di Torino, con il progetto “WALL coming”, che vuole costruire insieme ai minori ristretti, un nuovo teatro speciale: spazio culturale e multifunzionale con pizzeria, aperto alla città e gestito dai giovani dentro.

E ora?

Chi l’avrebbe mai detto che ci avrebbero messo tutti ai domiciliari?

Questa emergenza sanitaria ci ha incastrato in una nuova quotidianità. Lontani dai nostri cari, i parenti in altre regioni e i partner in altri quartieri, con pochi lavori da poter portare avanti, bloccati in città, senza poter attraversare un parco o andare a nuotare in piscina. Anche se era Pasqua, non siamo andati in chiesa, e le grigliate con gli amici sono un lontano ricordo.

In questi giorni leggiamo e sentiamo spesso pronunciare l’aggettivo “recluso”, eppure è impossibile immaginare cosa significa davvero “abitare ristretti”. Non bastano 43 giorni di quarantena per una pandemia globale. Perché noi abbiamo accesso alle tecnologie: Skype, Zoom, Jitsi, e-mail, smartphone; possiamo comunicare con i nostri cari, più volte al giorno, per quanto tempo desideriamo. Noi possiamo comprare liberamente sapone, prodotti igienizzanti e dotarci di mascherine e guanti richiesti dall’emergenza. Noi abbiamo una casa; non viviamo in condizioni di sovraffollamento: possiamo dormire in camera da soli e mantenere le distanze di sicurezza se incontriamo qualcuno. Noi possiamo uscire, per fare la spesa o correre intorno alla nostra abitazione. E se vogliamo stare fuori per più di un’ora, non c’è nessuno che ci cronometra.

Viviamo in un tempo sospeso. 

Tutti i laboratori di Artieri sono temporaneamente sospesi: in carcere non si entra ora e chissà per quanto tempo. “Temporaneamente” è la parola chiave che ci dà ancora un po’ di fiducia nell’immaginare di poter riprendere a lavorare a Fossano: per appendere le ultime bacheche per la ricerca lavoro in biblioteca e installare i sistemi di isolamento acustico nella nuova sala del silenzio. Per iniziare i laboratori di co-progettazione con i giovani ristretti a Torino.

C’è una cosa che però non ci hanno tolto: è la capacità di immaginare. 

E in questo tempo sospeso, noi ricominciamo a immaginare.

Continueremo a sperimentare azioni consapevoli, per progettare e trasformare fisicamente gli spazi del carcere. Torneremo a permettere alle persone di manifestarsi e affermarsi attraverso la co-progettazione e la costruzione in autonomia.

Per riconoscere il carcere come parte integrante dello spazio urbano e civico; e tutte le persone come cittadini, presenti e futuri, consapevoli e capaci di creare relazioni, legami, spazi e nuove occasioni di benessere per se stessi e per gli altri.

Anche, e soprattutto, attraverso i muri.

1989. Si occupa di Innovazione Sociale e Culturale, rigenerazione urbana, progettazione partecipata (DIT) e marketing territoriale, lavorando per l’Agenzia per lo Sviluppo Locale di San Salvario Onlus e la Rete delle Case del Quartiere APS. Dal 2010 la sua ricerca si orienta verso i processi di autodeterminazione dello spazio pubblico, sperimentando tecniche di design sistemico e autocostruzione in progetti e laboratori in tutta Italia. E' tra i soci fondatori di Artieri, impegnata nell'ottimizzazione delle risorse in ambito carcerario, che partecipa alla XV Biennale Architettura di Venezia e vince il premio Ri.U.So 05. Nel 2019 co-fonda CODICEFIONDA, che si occupa di creazione partecipata ed arte relazionale, intrecciando performance, multimedia e design urbano. Dal 2016, Fa parte della rete internazionale CivicWise, che promuove la partecipazione civica nello sviluppo urbano. Fa parte dell’associazione FuoriVia, che pratica il cammino di ricerca per il recupero di sentieri storici. I suoi compagni di scuola dicevano di lei che sarebbe diventata una grande violoncellista. E invece… Il libro che ha sul comodino è "Le otto Montagne" di Paolo Cognetti. Domani vorrebbe combattere lo spopolamento delle aree interne e coltivare frutti rossi.