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Come se fossi Bianca

Davanti al mare

Da qualche parte ho letto che quando il passato riappare nella vita di una persona non lo fa mai sotto le sembianze di un solo viso, ma trascina con sé tutta una catena di amici, di amori, di rimorsi dimenticati.

È per questo che dopo aver letto del ritorno di Bianca Mari mi perdo a pensare continuamente al mio passato?

 

Rivedo le croste sulle mie ginocchia sporche d’erba da bambina mentre giocavo nel giardino della zia. Castelli di sabbia in spiaggia. Granchi e alghe sulla riva. E poi rivedo una notte scura, piena di tensione, con la nonna che si torce le mani. Sento un vento così forte da spaccare le finestre.

Adesso non ho più paura del vento ma c’è voluto tanto tempo perché accadesse. Ci sono voluti anni nella piatta pianura padana, dove al massimo c’è una fitta nebbia, appiccicosa e stanca, che si spinge per le strade. Ma il vento no. Quello è rarissimo.

Eppure ancora adesso, certe volte, quando si alza il vento, mi sembra di sentire mia nonna pregare.

“Maria Vergine…”

Quel momento deve avermi angosciato ma se è andata così, quell’angoscia non la ricordo. Ricordo le immagini ma ho dimenticato le sensazioni.

Allora non avevo scelta. Dovevo irrigidire ogni parte di me perché se mi fossi lasciata andare e avessi lasciato trasparire i sentimenti o le emozioni, temevo che mi sarei dissolta in qualcosa di molle e indistinto o mi sarei messa a gridare o a ridere senza smettere più. Sarei diventata strana. E mi sarei perduta.

Invece poi è arrivata la vita, è finita la scuola, ho potuto studiare e, pian piano, ricominciare. In quella città che a poco a poco è diventata un po’ mia. Ma in fondo lo sapevo che neanche la nonna sarebbe stata eterna. E a ben pensarci neppure io lo sono. Anzi, io sono già sparita da un po’.

 

Si dice che apprendiamo imitando i comportamenti di chi ci sta attorno. Ecco, allora, io forse ho imparato come sparire.

 

Cammino inquieta per la stanza. Fino ad ora credevo di essermi mimetizzata in modo perfetto finché non è accaduto questo disguido. Bianca Mari è tornata. Ma non potrebbe trattarsi di un semplice caso di omonimia? Devo davvero preoccuparmi? No, devo cercare di stare tranquilla.  

Quante probabilità ci sono, in fondo, che io incontri Bianca Mari? Se ne starà con la sua famiglia per un weekend e poi se ne andrà, come ha sempre fatto negli ultimi sei mesi. Tornerà a volare lontano mentre rimarrò qui, a vegliare sulla vita a cui lei ha rinunciato. E continuerò svolgerla al posto suo.

 

Ogni tanto controllo Facebook. Sul profilo della madre di Bianca abbondano gli smiles e le foto che mostrano pranzi di famiglia, passeggiate lungo il viale, primi piani con le linguacce. Meno male che lavoro tutto il giorno. E di pomeriggio rimango solitaria nella mia casetta, vuota ma tranquilla. Ad ascoltare il rumore del mio destino.

 

I giorni passano. Lavoro e la vita continua. Almeno, così pare a me.

 

“Sembri stanca” mi dice Marina. Siamo nello stanzino del centro talassoterapico. È mattina, stiamo per cominciare a lavorare. Lei si abbottona la divisa, io controllo gli appuntamenti del giorno sul nostro calendario senza vederli. La sala d’attesa è ancora deserta, c’è quel silenzio caldo che mi piace tanto, l’odore del diffusore alla cannella che abbiamo appena acceso, dai vetri entra un frammento di cielo che sembra di ghiaccio.

“Dici?”

“C’hai una faccia… Forse hai bisogno di distrarti. Vieni alla festa di compleanno di mio cugino? È tornato a vivere qui”.

Sì, suo cugino. Suo cugino è quello di cui ho visto il post su Facebook. Quello che è tornato, come me, dalla città in cui ha studiato. Eravamo in classe insieme, alle medie, poi alle superiori abbiamo scelto strade diverse. Io il Liceo Classico, lui lo Scientifico. Ricordo che aveva una memoria eccezionale e una passione per la geografia. Chissà dov’è finita quella sua passione ora, se esiste ancora o se è stata soppressa come la mia da qualcos’altro. Dalla realtà, per esempio. E, nel mio caso, dalle competenze nel campo dell’estetica di Bianca Mari.

“Allora vieni?” insiste Marina.

“Ok” dico controvoglia. E mi lascio convincere, sperando che questa uscita mi distrarrà dai miei pensieri.

 

Prima di uscire ricontrollo Facebook. Bianca Mari e sua madre oggi sono a fare shopping al centro commerciale. Io l’ultima volta che sono stata al centro commerciale con mia madre neanche la ricordo più.

Sono tentata di guardare ancora, di cercare più a fondo nel profilo di Bianca Mari ma ogni volta desisto. Qualcosa mi trattiene, è una specie di pudore che non so meglio spiegare.

Ma adesso è tardi, mi dico, devo smetterla. È ora che mi prepari per andare alla festa.

 

Quando arriviamo, io e Marina veniamo accolte da una musica assordante che si spinge nell’aria. La festa si tiene nella sala giochi sotto allo Zipster, proprio di fronte al Grand Hotel Astoria. D’inverno è chiusa ma siccome il proprietario è lo zio di Marina l’ha eccezionalmente aperta per il compleanno del figlio.

Dalle serrande abbassate filtra una luce lunatica che esce dalle fessure metalliche. La musica pompa nel silenzio notturno. Mi pento subito di essere venuta. Ma è troppo tardi per andarmene. Marina mi spinge dentro, eccitata.

Entriamo spalancando una porticina. Qualcuno ci viene incontro con due birre. Il pavimento è cosparso di bagigi, gusci vuoti e secchi sparpagliati a terra. Si cammina fra i videogiochi, tutti accesi, lampeggianti. Sul tavolo da biliardo, coperto da un ripiano di legno, sono disposte ciotole con salatini, patatine, panini e fette di pizza. C’è odore di fumo.  Una nebbiolina che sa di tabacco aleggia nell’aria. Sembra di stare in un covo di marinai che si sono appena trasferiti in un Luna Park. Marina ride, saluta due tipi che conosce. Quello con due birre, invece, è suo cugino. Ci passa le birre e ci chiama.

“Benvenute.”

“Ciao.”

“Lei è Bianca” mi presenta Marina.

Io cerco di guardare altrove ma il suo sguardo si posa su di me senza scampo.

“Bianca?”

“Sì, si chiama come la tua fidanzata. A proposito, dov’è?”

“Sarà qui a momenti” risponde lui senza smettere di fissarmi.

“Non vedo l’ora di conoscerla. Sai,” – mi dice Marina – “stasera Giacomo deve fare un annuncio molto speciale.”

Oddio, penso.

“Possiamo dirglielo?”

Chiede Marina.

“Ma sì, certo.”

“Quest’anno si sposa. Con… Bianca!”

“Sì”.

Giacomo e Marina fanno cin cin con la birra.

Ditemi che non è vero, penso. Facendo finta di nulla, mi unisco al cin cin sorridendo.

“Congratulazioni” dico.

Non può essere, ripeto fra me.

“Sono così contenta” ride Marina. “Quando arriva la sposa?”

“A momenti. È andata a fare shopping con sua madre”.

Butto giù la birra d’un fiato.

“Scusate, c’è un bagno qui dentro?” chiedo.

“Sì, dopo il flipper, a sinistra”.

“Arrivo subito”.

Ho deciso che se c’è una finestra nel bagno, me ne uscirò da lì. Prima di ritrovarmi faccia a faccia con Bianca Mari.

 

Purtroppo nel bagno non c’è nessuna finestra, solo una ventola che gira inebetita con un rumore di plastica. La fissò contrariata. Dopo qualche minuto esco, decisa a guadagnare senza indugio l’uscita.

 

“Eppure io ti ho già visto” mi ferma Giacomo. So benissimo che mi ha riconosciuto. Oltre alla passione per la geografia è impossibile dimenticare la sua memoria eccezionale. Sapeva ripetere parola per parola le pagine dei libri che studiavamo, alle interrogazioni ripeteva pari pari le spiegazioni dettate dai professori. Cerco di mantenere la calma. Marina sta parlando con due ragazze vicino al Tetris. Tentare di intercettare il suo sguardo è inutile.

“Vado a fumare una sigaretta, scusami.”

“Ti faccio compagnia” si offre.

Sto per dire che non serve quando un ragazzo lo afferra per una spalla e gli grida in un orecchio: “Auguri, vecchio!”

Ne approfitto per superarli e mi getto fuori dalla porta scansando una ragazza che sta per entrare. Mi butto nel viale. Per fortuna è avvolto dalla foschia. Una foschia umida e fissa che mi ricorda per un attimo i tempi dell’Università. Ma non devo illudermi. I tempi dell’Università sono finiti per sempre.

 

Una volta tornata a casa riprendo fiato. Chissà se la ragazza che ho scansato era Bianca Mari. Meglio cercare di dimenticare tutto. Ma non so se posso riuscirci. Mi sento come un animale che fiuta il pericolo e non sa cosa fare. Ma una soluzione la devo trovare.

 

***

 

Da qualche tempo ho preso una strana abitudine. Passeggio nella notte. Guido da sola fino al di là del ponte, lontano da casa mia, in questa campagna silenziosa e deserta, fino a raggiungere nuovamente il mare. Quel mare in apparenza pacifico che si è ingoiato i miei genitori. Stanotte è calmo ma anche lui può mentire. Questo l’ho imparato bene. A mie spese. E a spese di quelli che ho più amato.

Non c’è bisogno, però, di essere patetici, penso parcheggiando. La vita non è quello che è stato, ma quello che è rimasto. Quello a cui riusciamo ad aggrapparci e a tenerci stretto finché dura.

Raggiungo a piedi la diga, la percorro scortata dai lampioni. Contro il molo si abbattono le onde. Un uccello percorre il cielo solitario. Chissà se è un gabbiano insonne o un pipistrello. Ma è troppo lontano, non riesco a capirlo. Laggiù, oltre i miei passi, si stende la spiaggia buia, una lingua umida immersa nella penombra e sferzata dall’inverno.

La fine dell’autunno ha lasciato lo spazio a un feroce dicembre. Le foglie si sono sbriciolate sui marciapiedi, l’arancione degli alberi è impallidito fino a renderli scheletrici. Si sono accese le luci di Natale, nelle vetrine, sulle facciate degli alberghi, appese ai lampioni che si spargono nelle vie. Rosa rosse verdi e gialle schiariscono le sere, illuminano le notti, svegliano i passanti che si aggirano semiaddormentati in cerca dei regali perfetti per parenti fino ad allora dimenticati.

Quei piccoli soli artificiali, allineati in file, sono come frecce che indicano la direzione. Per di qui, sembrano dire, qui è aperto, di là è chiuso. Entra nel mio albergo, vieni a farti un massaggio, acquista questo giocattolo per i tuoi bambini.

Io cammino e guardo ma non sempre vedo. A volte sono troppo immersa nei miei pensieri. Pensieri che non ascolto tanto. Pensieri che sono spesso intermittenti come quelle luci di Natale. E perché lui adesso deve interromperli?

 

Giacomo è comparso vicino a me, inaspettato. Un fantasma buio in questa notte lenta. Tra tutte le persone che potevo incontrare, proprio lui doveva apparire?

“Cosa vuoi?” chiedo.

“Volevo solo fumarmi una sigaretta. Abito qui sopra, sai?”

Indica un appartamento dietro di lui, nella schiera curva dello Zipster.

“È bello fumare davanti al mare. A volte scendo per guardarlo meglio e faccio due passi. Ma già che ci sei vorrei passeggiare con te.” Aggiunge: “Se posso.”

“No”.

Sospiro.

“Scusa, non volevo essere maleducata”.

“Non lo sei”.

Si accende una sigaretta e la fiammella brilla nell’oscurità, un piccolo sole rosso in mezzo al buio della notte.

“Vuoi un tiro?”

“No. Non fumo”.

“Davvero?”

“Sì”.

In un attimo capisco di essermi fregata. Alla festa gli avevo detto che sarei uscita per fumarmi una sigaretta.

“Cosa vuoi?”

Chiedo ancora.

“Smettila di stare sempre sulla difensiva”.

“Non lo sono”.

“Sicura?”

“Sì, sono molto sicura”.

Sopra di noi passa un aereo. È trafficato il cielo, stasera.

“Deve essere difficile per te guardare il mare”.

“Il mare è sempre bello” dico ironica.

Sa che lo sto prendendo in giro eppure è anche la verità. Me n’ero andata da qui credendo di odiarlo e ora mi accorgo quanto mi è mancato.

Il mare, per tutto questo tempo, ha continuato a scorrermi nella mente senza che me ne accorgessi. Non possiamo starci lontano, noi che ci siamo nati, senza sentircelo scivolare nelle vene. Come una maledizione. Sospiro di nuovo. È possibile dimenticare le maledizioni?

“Sei pensierosa” osserva.

“Io sono sempre pensierosa” vorrei dirgli. Invece rispondo:

“Non volevo tediarti.”

“Non mi tedi.”

Lo osservo. Quando siamo davanti a unaltra persona possiamo chiederci: “Cosa pensa?” ma con lui non si può dirlo. È strano, questo ragazzo. Scruta il mare come se osservasse paesaggi che il resto della gente non può vedere. Il vento soffia intorno a noi.

“Ci sediamo?”

Sediamo su una panchina e sento il freddo sotto il sedere. Il cappotto non basta.

“Hai freddo?”

“No” nego.

Lui continua a fumare. Davanti a noi scorre il mare. Questa atmosfera cupa risveglia i miei ricordi anche se non voglio. Eppure vengo qui, me ne lascio attrarre. Però adesso no, non ne ho voglia. Sto per alzarmi quando lui inizia a parlare.

“Sai, per un periodo, ho fatto il volontario a Lampedusa. Dovresti vedere cosa succede là per capire il dolore. Vedevo il mare rigurgitare barche, facce spente e devastate farsi soccorrere. Taniche d’acqua, mani alzate. Tu pensi di sapere cos’è la sofferenza ma non lo sai mai bene finché non vedi certe scene. A un certo punto non ce la facevo più. Mi sentivo troppo inutile”.

Lo guardo attraverso il fumo della sigaretta che aspira a fior di labbra. Ognuno ha il suo dolore, vorrei dirgli. Siamo tutti creature abbandonate dentro i flutti della vita.

“Come sei finito là?”

“Tirocinio, studi, cose che facciamo tutti”.

Annuisco.

“Ma adesso stai per sposarti, no? Le cose per te stanno cambiando”.

“Sì, sto per sposarmi… Con Bianca”.

Mi guarda fumando la sigaretta. So che sta per dirmi qualcosa ma non voglio. Non voglio sentir pronunciare il mio vecchio nome.

“Come l’hai conosciuta?”

Chiedo sperando di distrarlo.

“In aereo. Stavo tornando a casa. Dopo il primo volo avevo scoperto che il secondo era in ritardo, ho chiesto informazioni alla prima hostess che ho visto e lei mi ha indicato il gate giusto. Per qualche motivo mi aveva colpito. Camminava così nervosamente davanti al Duty Free. Poi l’ho ritrovata al gate al momento dell’imbarco. Le ho fatto una battuta, lei ha risposto e l’ho incrociata di nuovo allo sbarco. Abbiamo cominciato a parlare e… Sai come vanno queste cose…”

No, non lo so ma i miei occhi si fissano sul mare, forse per sfuggire al suo sguardo, che trovo invadente. Quegli occhi grigi sono seccanti.

“Lei aveva un sacco di fretta di tornare a casa. Per sempre, secondo me”.

“E tu?”

“Oh, io ho sempre colto l’attimo nella vita”.

Già, per lui contano i paesaggi, i percorsi. Non sono poi così concreti questi geografi. Infatti il geografo è un mestiere che non esiste più.

Aggiunge qualcos’altro ma non lo ascolto. I miei occhi sono ancora puntati sul mare. Il mare che inghiotte, il mare che risputa. E Bianca Mari si è sollevata sopra tutto questo nell’aria. Com’è stata stupida a tornare, qui dove tira forte il vento e la spiaggia è l’unico orizzonte, troppo stretto.

All’improvviso, tutto mi appare chiaro e so di nuovo cosa fare.

 

Le bugie di cui siamo circondati spesso ci fanno stare male. Ma a volte sono la nostra unica protezione. Perché sapere tutto non è sempre la cosa migliore. Spesso è meglio vivere nell’ignoranza e illuderci che la vita sia più facile di quello che è. E che possa essere un’altra.

 

Adesso la soluzione si para nitida davanti a me. Se sono stata Bianca Mari una volta, posso esserlo di nuovo. Se lo sono stata in questa città posso esserlo altrove. E ora che Bianca Mari è tornata, partirò io. Salirò io su quell’aereo al posto suo.

È psicologa psicoterapeuta. Laureata e specializzata a Padova, dove ha vissuto per tredici anni, da tre è tornata nella sua città di Grado per ricoprire l’incarico di Assessore alle Pari opportunità. Appassionata di libri, i suoi autori preferiti sono: Banana Yoshimoto, Italo calvino, Charles Dickens, Marguerite Duras, Joyce Carol Oates. I miei compagni di scuola dicevano di me: ma quanti libri leggi in un giorno? Il libro che ho sul comodino: Scrivere zen e i Diari di Etty Hillesum. Domani vorrei: Diventare una scrittrice più famosa di Stephen King.