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BRUNO DIXIT

Bruno ha settant’anni e scoppia di salute.

Detto questo, possiamo aggiungere che la vita a volte tira brutti scherzi. La vita a volte è incomprensibile. La vita a volte toglie. A Bruno ha tolto parecchio. Ha tolto alcuni punti di normalità. In una scala ipotetica della normalità lui sta sotto la sufficienza: non sa leggere e scrivere, non riconosce i numeri, non capisce le indicazioni, non afferra concetti appena più complessi di quelli elementari.

Ma la vita, a Bruno, ha anche dato. E parecchio. Ha dato due occhi azzurri, le mani dal palmo largo, da muratore o divoratore di salsicce; ha dato una salute di ferro, la forza fisica di un mediano di mischia, la volontà del lavoratore mai stanco, la passione del suo mestiere. Che è quello del giardiniere. O meglio sarebbe dire di aiuto-giardiniere perché lui riesce a fare solo quello che altri gli suggeriscono di fare. Non saprebbe da solo riconoscere i tempi corretti per le potature, per raccogliere le foglie, per sarchiare i germogli. Confonde i tempi della semina e i tempi della raccolta. Ma anche fare l’aiuto-giardiniere prevede una vocazione e una certa dose di talento. Ci sono aiuto-primario e aiuto-registi o anche aiuto-allenatori, che nonostante la loro “normalità”, mai sono riusciti a diventare sufficientemente primari, sufficientemente registi o sufficientemente allenatori.

Ma c’è una attività che Bruno sa svolgere in assoluta autonomia e che per svolgere la quale non ha bisogno di alcun aiuto: quella della profezia. Detto così forse è un’esagerazione. Però lui davvero, nel suo eloquio disordinato, contraddicendosi o parafrasando se stesso, a volte lascia cadere all’interno di una conversazione un’immagine fulminea o un’affermazione di senso compiuto, che lascia interdetto l’interlocutore. In quei momenti cala il silenzio. Ci si accosta al mistero. Il più delle volte ci si mette semplicemente a ridere, con lui. E lui: “Ecco, vedi? Te l’ho detto, è come dico io”. Sì, d’accordo. Ma cos’è che hai detto, in definitiva?

Però, in fondo, a pensarci bene, la profezia non è affare per gente posata, che nella scala della normalità raggiunge la sufficienza piena. Quant’era strana la Pizia, quant’era fuori di senno l’oracolo del santuario di Delfi, di quali oscuri alimenti si nutrivano gli anacoreti? Per non parlare degli innamorati! Quanta parte della nostra storia e delle nostra cultura è stata prodotta così ed è stata tramandata così? Perché sorprendersi? Che c’è poi di così strano a credere ai misteri o ai presagi? Ci hanno provato in tanti a spiegarci il senso della vita, di quello che vediamo e di quello che non vediamo, che è, paradossalmente, ciò che di più ci determina e indirizza. Ci hanno provato filosofi e teologi, adoratori di dei e esegeti di Dei, ci hanno provato assumendo droghe o una postura ieratica o affossandosi nei libri. 

Hanno tirato a indovinare, facendosi tutti, più o meno le stesse domande, dandosi tutti, più o meno, le stesse risposte. E allora, perché non dovrei dare retta a Bruno? Lui profetizza. Inconsapevolmente. Ma né più né meno, né meglio né peggio di molti altri più celebrati di lui. Il profeta non prevede il futuro, quelle sono cose da maghi e da indovini: gente poco raccomandabile, stregoni e arraffatori. Il profeta vede il presente, perché stravede per il presente, ne ha una venerazione. Il profeta è un collezionista del presente, ne gusta gli attimi, li mette tutti in bell’ordine. Egli vede il presente così intensamente da perdersene dentro, da esserne immerso. Quando emerge, testimonia. E spesso non è compreso, spesso è accusato di allucinazione, di furfanteria, di essere un millantatore. Vedere dentro le cose mentre le cose accadono è vedere il ventre del mondo, percepire la scandalosa nudità dei viventi. 

– Olà, Bruno, come va? 

– Bene, bene. Sai, sono guarito. 

– Oh, non sapevo. Ma eri malato? 

– No, no. 

– Ma come no, no? Eri malato e sei guarito? O non sei mai stato malato? 

– Ecco, quello ti dico! 

Risposta lapidaria. Conversazione chiusa. Bruno è guarito prima di ammalarsi, questa è la sentenza del profeta: bisogna guarire prima di ammalarsi. Come c’è stata una tragica “banalità del male”, così c’è in questo nostro tempo un’altrettanto tragica “banalità del malessere” che banalizza il nostro dolore, inducendoci a credere che una soluzione alla nostra inquietudine ci sia sempre: con una pomata, la seduta da uno psicologo, il consiglio di un farmacista accorto, la zingara che ti legge la mano, l’oroscoparo che sa raccontartela giusta. Ok, e allora? E allora: bisogna guarire prima di ammalarsi. Bruno dixit. Mettiamocela via: è lui l’unico profeta credibile al quale possiamo affidarci per chiarire definitivamente il nostro presente.

È un azzardo e un salto nel buio, mi rendo conto. Ma tanto, peggio di così non potrà certo andare, no?

Stefano Montello è musicista e scrittore. Dall’età di vent’anni conduce una azienda agricola di proprietà che gli fornisce un reddito adeguato e una dolorosa lombalgia. I miei compagni di scuola dicevano di me... Un giorno dissi in classe: “Da grande farò lo scrittore”. Risero. Stronzi. Il libro che ho sul comodino è nascosto sotto un mucchio di altri libri. Domani vorrei… svegliarmi.