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Estiva

Ieri ero in spiaggia. Il cielo era nuvoloso, il mare grigio e denso. Sulla riva arrivavano grosse onde che ci hanno costretto ad arretrare, sempre più su, sugli scogli, fino ad arrivare al muretto. Dietro, c’era la diga larga, bianca e diritta. Più giù, la fontana alla quale mi affacciavo da bambina, perché sul suo bordo sono scolpiti dei pesci smaltati che non riuscivo mai a vedere. Ho misurato su quel bordo la mia crescita. Prima riuscivo a scorgere una pinna azzurra, poi un granchio arancione sbiadito, poi un’alga iridescente. Infine, tutti e tre. Intanto, l’acqua schiumosa faceva volare qualche schizzo sulla mia testa.

Ieri, però, non l’ho degnata di uno sguardo, la fontana.

Eravamo appena scesi dalla diga, avevamo dovuto arrenderci alle onde. I bordi degli asciugamani si erano bagnati. Il vento fischiava.

“Sta cambiando il tempo” ha detto E.

Era vero. Il tempo cambia di continuo. Abbiamo preso un gelato e siamo andati a mangiarlo su una panchina. Dalla panchina si vedeva la fontana.

Ho contato le persone che le sono passate di fianco: una mamma che spingeva un passeggino, quattro badanti coi cappellini da turista tedesco, otto turisti veri senza cappellino, due triestini che hanno l’ombrellone in spiaggia in zona vip, un ragazzino con lo skateboard e tre ragazzine che camminavano fissando il cellulare.

Di tutti loro, solo il bambino nel passeggino ha guardato la fontana. Un’occhiata distratta gliel’hanno lanciata anche le ragazzine, per non finirci dentro. Il ragazzino in skateboard le è girato intorno, poi è schizzato via.

Mi sono ricordata di una favola letta su un libro quand’ero bambina. Nella favola c’era una panchina gelato, che tutti i bambini leccavano. Un giorno qualcuno si era offerto di dipingerla con una vernice nera affinché le leccate non la consumassero e lei aveva accettato. Ma poi i bambini non venivano più e la panchina si era sentita così sola che aveva fatto scrostare la vernice e i bambini erano tornati a leccarla con gioia. E lei era così felice che aveva vissuto leccata e consumata per il resto dei suoi giorni. Mi ricordo il suo sorrisone sullo schienale colorato.

Perché quando siamo grandi e abbiamo gli strumenti per vedere le cose, non le guardiamo più? Perché non notiamo ciò che ci fa felici e ci verniciamo con le immagini di quello che dobbiamo essere per piacere a chissà chi?

Poco tempo fa ho condotto un laboratorio di scrittura autobiografica con dei ragazzi. Camminando per la città, ognuno ha scoperto le cose che in un passaggio, in un albero o sul corrimano di una scala lo avevano colpito di più. Le immagini della città ci riverberavano dentro e poi sulle pagine. Sono diventate racconti. I nostri racconti.

Perché non ho mai raccontato di questa fontana prima?, mi sono chiesta finendo il gelato. Non mi ero mai accorta di quanto mi piacesse guardarla. C’erano volute delle onde alte, la minaccia di bagnare gli asciugamani e un cielo gonfio di pioggia per farmi tornare indietro nel tempo. Indietro indietro, a quando non riuscivo a raggiungere le cose e mi sporgevo in punta dei piedi per afferrarne almeno un dettaglio.

“Eh sì, il tempo è proprio cambiato” ha commentato E. andando a buttare nel cestino le carte in cui erano avvolti i coni gelato.

“Già” ho annuito e sono andata vicino alla fontana. Ho sfiorato il granchio arancione, l’alga iridescente e il pesce dalle pinne azzurre. Ormai li toccavo senza sforzo. E c’erano anche una stella marina, un delfino. Guizzi di pesci di tutti colori, un cosmo scolpito nella pietra marrone, un mosaico d’acqua incastrato nella roccia. Ho sorriso, poi ho toccato l’acqua. Era gelata ma io mi sono sporta perché mi bagnasse ancora. Subito dopo ha cominciato a piovere.

Grazie a Ginevra M. per la foto di copertina.

È psicologa psicoterapeuta. Laureata e specializzata a Padova, dove ha vissuto per tredici anni, da tre è tornata nella sua città di Grado per ricoprire l’incarico di Assessore alle Pari opportunità. Appassionata di libri, i suoi autori preferiti sono: Banana Yoshimoto, Italo calvino, Charles Dickens, Marguerite Duras, Joyce Carol Oates. I miei compagni di scuola dicevano di me: ma quanti libri leggi in un giorno? Il libro che ho sul comodino: Scrivere zen e i Diari di Etty Hillesum. Domani vorrei: Diventare una scrittrice più famosa di Stephen King.